Uno scontrino potrebbe sembrare ai tanti un semplice pezzo di carta. Niente di più sbagliato. Infatti, anche un piccolo oggetto come questo è visual design, così come la quasi totalità di ciò che compone la nostra vita.
Durante le prime lezioni di identità visiva, abbiamo parlato di come nel mondo contemporaneo il design sia ovunque: può essere usato, abitato, maneggiato, distrutto, ma soprattutto “visto”.
Quindi cos’è il visual design? Una definizione precisa non esiste perché è un insieme di pratiche molto diverse e difficilmente costretto dentro ad un’unica interpretazione.
Il visual design ci circonda e molti hanno imparato a riconoscerlo nelle pubblicità, nelle interfacce del computer, nelle copertine dei libri, ecc. Tuttavia questo non riguarda solo gli ambiti più elevati della comunicazione, ma ad esempio vi può rientrare perfettamente l’etichetta identificativa di un prodotto. Si tende, infatti, a trascurare che anche quelle poche righe stampate su due centimetri di carta sono state progettate da qualcuno. Queste ultime sono un piccolo progetto grafico fatto di codici, simboli e font appropriati.
Ne consegue che nel visual design possono rientrare, ad esempio, anche una scatola di un surgelato, un tabellone ferroviario, uno scontrino della farmacia o un biglietto dell’autobus.
Questo porta ad un’ulteriore domanda: qualsiasi cosa visibile fa parte del visual design? Non proprio, ma tutto quello che è progettato per essere visto secondo certe intenzioni: per informare, raccontare o sedurre gruppi di persone all’interno della società.
Perciò, il modo migliore per capire il design è chiedersi cosa avesse in mente chi l’ha progettato, chi è il committente, qual è il contesto sociale e quali tecnologie l’hanno permesso.
Dopo tutta questa teoria, passiamo però a qualche esempio pratico e immediato.
Prova a pensare alla prima immagine che associ ad IKEA, l’azienda multinazionale svedese specializzata in mobili per la casa. Ciò che ti verrà subito in mente potrebbe sembrarti soltanto un ricordo di qualcosa che hai visto, ma è anche un modello visivo che vive nella tua mente.
A questo punto, ti potrebbe sorgere spontanea l’idea – che rispecchia in effetti la realtà – che il visual design progetti anzitutto rappresentazioni, cioè qualcosa che si mostra sensibilmente al nostro sguardo e che finisce per abitare i nostri pensieri.
Leggendo quanto sopra e visti il progresso della rete e l’accessibilità degli strumenti, si potrebbe concludere che, oggi come oggi, chiunque possa essere visual designer. Il solo possesso dei mezzi, però, non basta. L’utilizzo di un software non è soltanto fine a se stesso, poiché include anche una “relazione” tra committente, utente e progettista, con desideri e intenzioni individuali.
Lavorare come visual designer non significa solamente fare grafica usando forme o creatività, ma sviluppare materiali visuali al fine di creare un’esperienza e comunicare messaggi nella maniera più efficace possibile. In breve, capire il design è riconoscere chi sta parlando e cosa vuole comunicare con un determinato progetto.
Riccardo Falcinelli, Critica portatile al visual design – Da Gutenberg ai social network