Inutile dirlo, una delle motivazioni più convincenti per iscrivermi al corso Post Diploma McLuhan è stata la sicurezza di svolgere un tirocinio all’interno del percorso di studi.
Significa venir preparati, oltre che con teoria e pratica, sporcandoti le mani, significa vedere davvero in cosa consista il mestiere per cui ti stai svegliando tutte le mattine, frequentando lezioni, consegnando esercitazioni e progetti.
Ora, non è che sia impossibile accaparrarsi un’esperienza formativa in azienda proponendosi autonomamente, inviando curriculum, presentando appassionate lettere motivazionali, perseverando nell’invio di decine e decine di candidature. È ovviamente possibile, tuttavia mi sentirei in balia dell’onestà del futuro datore di lavoro, che potrebbe non prendersi la briga di accompagnarmi passo passo in una formazione che a lui costa tempo ed energie. Se “lungimiranza” e “serietà” rientrano nel suo vocabolario professionale lo farà, scommetterà un po’ su di me, ma non ho garanzie sul fatto che io non sia lì come mera manovalanza. La svilente “per oggi puoi fotocopiare questo faldone” è consegna sempre in agguato.
L’idea di ottenere un tirocinio in un’azienda che mi piace (non all’interno dell’unica che mi ha risposto), senza essere sola a gestire i rapporti con questa, disponendo di docenti a cui chiedere consiglio, mi conforta.
È come in un lancio col paracadute di sicurezza, mi rende più concentrata sul fare e non sulle mie emozioni.
Non credo che ci sia da convincere nessuno sul fatto che svolgere uno stage già durante la propria formazione sia una bazza*. Se non sei convinta? sei scettico?: provare per credere!
Più difficile convincere gli altri a buttarsi dal trampolino del tirocinio all’estero.
Si tratta del tanto nominato Erasmus. In pratica tutto quello che abbiamo detto fino ad ora ma sperimentato in un altro Paese europeo, con un’altra lingua, attorniato da persone nuove e pochi punti di riferimento. Detta così pare davvero un tuffo carpiato tentato dalla cima di scogliere aguzze.
Allora perché farlo?
Mettendo sulla bilancia pro e contro abbiamo una buona dose di fatica fra i contro: oltre a star imparando una professione mi devo sforzare di imparare un’altra lingua. Poi ci sarà un’altra dose di angoscia e di diffidenza, data da:
incognita “casa”: dove vivrò e con chi?
incognita denaro: ma lì hanno l’euro? mica dovrò aprire un conto corrente?! vado avanti di carta prepagata…
pregiudizi sedimentati: ma si lavano questi senza il bidet? veramente mangiano pizza surgelata? credo parlino veloce apposta per confondermi! E via con tutti i luoghi comuni che ti vengono in mente sugli stranieri, cliché che, una volta all’estero, inizi a confermare in parte, a riderne di alcuni e a pacificarti con altri ancora.
Sulla bilancia mettiamo ora i pro. Un’abbondante dose di novità che mi rende insonne tanto voglio scoprire giorno e notte la città in cui sono: pub, concerti con unica data proprio dove sei tu, musei gratuiti, orto botanico, locali con cibo tradizionale, natura diversa, mezzi di trasporto mai presi prima, palazzi monumentali, biblioteche secolari, battello sul fiume o funicolare fino in cima alla città…
Aggiungiamo una porzione di soddisfazione nel riuscire a farcela, nonostante le cose vadano raramente come ce le saremmo aspettate, abbiamo conquistato una capacità di adattarci duratura, da riporre nella cassetta degli attrezzi e ben spendibile sul nostro curriculum sotto la voce “problem solving”.
E per ultimo sulla bilancia poniamo il pesetto dell’apertura mentale: vedere come gli altri organizzino un progetto di lavoro, come risolvano un imprevisto, come gestiscano una crisi o come lancino un’innovazione, ci rende pronti ad accogliere un modo nuovo di pensare e di fare. Ci rende dei progressisti insomma. Così saremo “proattivi” veramente, che sia scritto o meno sul nostro curriculum di giovani avventurieri.
Ora la bilancia è piena, ognuno può far i conti con i propri obiettivi, le proprie paure e le proprie risorse, ma se ancora hai dubbi sull’Erasmus all’estero ti chiedo: che hai da perdere?
* “Bazza”: termine dialettale emiliano, indica “un vero affare”