Ero da poco tornato a Bologna, dopo una breve scappatella in Friuli per salutare famiglia e amici. Su internet e sui telegiornali rimbalzava la notizia di un virus che aveva messo in ginocchio la Cina: il Covid19. Da lì a poco si registrarono i primi casi anche in Italia e poi il caos, venne dichiarata la pandemia globale e l’Italia si chiuse in casa per contrastare e contenere la diffusione del virus. Decisi quindi di rimanere nella residenza Fioravanti di Bologna, studentato che mi ospita sin da novembre, mese in cui è iniziato il corso McLuhan.
Ero molto indeciso se rientrare a casa o meno: non avevo alcun sintomo ma vivendo in una grande città si è spesso a contatto con molte persone e non potevo rischiare di diffondere il virus nel mio paesino.
Inizialmente la situazione nello studentato era particolarmente delicata poiché accoglie più di 200 studenti impossibilitati ad isolarsi completamente.
Inoltre, durante le settimane prima dello scoppio della pandemia, numerosi residenti avevano manifestato sintomi riconducibili al Coronavirus. Non avendoci dato indicazioni precise e applicabili concretamente, in molti sono stati presi alla sprovvista e hanno quindi deciso di rientrare nella propria residenza o rimanere in studentato evitando gli spazi comuni ove possibile.
A seguito di un iniziale sbandamento dato dalla lontananza dai propri cari e dalla scomodità di non poter usufruire degli spazi comuni, ci siamo resi conto di non poterci chiudere in stanza. Era quindi impossibile evitare assembramenti, anche piccoli, all’interno della struttura e quindi ognuno di noi si è preso la responsabilità di seguire le norme di sicurezza durante le uscite di prima necessità.
Nessuno voleva che il virus entrasse in un luogo che ospita così tante persone. Si è creato quindi una sorta di equilibrio, ma soltanto parziale, poiché si sono presentati episodi spiacevoli che hanno minacciato la nostra sicurezza: nei pressi del perimetro dello studentato numerose persone esterne hanno cercato di avvicinarsi a noi, non curanti della situazione, usufruendo anche delle attrezzature sportive e di svago riservate a noi residenti. Queste ultime sono quindi state rimosse, togliendo a noi la possibilità di usufruirne nonostante avessimo organizzato dei turni per utilizzarli in sicurezza.
Inizialmente questa decisione è stata un duro colpo per me. Spesso mi capitava di stare tutto il giorno davanti al computer a seguire le lezioni e di correre all’ora di pranzo in cucina comune, sperando non fosse troppo affollata, per mangiare e riconnettermi nel pomeriggio. Ero davvero stressato e quindi dedicavo sempre un’ora al giorno a giocare a basket per staccare dopo un’intera giornata davanti al computer, con una connessione internet per nulla stabile, a causa dell’alto numero di persone che la utilizzavano.
Il fatto di rimanere chiusi in residenza per due mesi ha dato la possibilità, a coloro che sono rimasti, di conoscere nuove persone e di consolidare le amicizie già fatte. Soprattutto per me, che ero arrivato da pochi mesi in un contesto del tutto nuovo, è stata una buona occasione per crearmi un valido gruppo di amicizie.
Così è stato possibile non sentirmi solo durante alcune occasioni, come a Pasqua, che abbiamo organizzato dei pranzi nei vari appartamenti: in quei momenti ho sentito meno la distanza dalla propria famiglia.
Oppure durante l’immancabile appuntamento della domenica pomeriggio in cui uno studente appassionato di musica suonava la tastiera nel piazzale della residenza concedendoci un momento di piacere e svago, anche dalla propria camera.
Credo di essere stato fortunato, fortunato di aver condiviso questo periodo con persone che ora posso chiamare amici.