Il marketing non è composto solo da complicate strategie e piani editoriali. La strategia senza la creatività è come avere una bellissima macchina senza motore: interessante, ma poco utile. Quando invece queste due sfere si incastrano bene, possono fruttare risultati inaspettati.
Molte persone considerano l’arte come solo un lusso per pochi, ma io credo che vada ad influenzare le nostre vite in tutte le sue forme, in modi inaspettati.
Il marketing, esattamente come l’arte, punta a questo potere di influenzare gli altri e spesso entrambe le discipline sfruttano modalità molto simili.
I Futuristi furono tra i primi a comprendere quanto l’unione di arte e commercio potesse essere rivoluzionaria e produttiva, cominciando a mettere a disposizione la loro creatività ad aziende che accoglievano le loro idee innovative.
Nel 1932 venne chiesto all’artista Fortunato Depero di ideare la bottiglia per la prima bevanda aperitivo “monodose” che successivamente prese il nome di Campari Soda. La forma di calice rovesciato divenne subito un successo per poi diventare una icona per il design.
Da quel momento Depero divenne il primo artista a curare la comunicazione di un’azienda italiana a 360 gradi, facendo del suo tocco il punto che distingueva Campari da altre imprese: punto molto importante per il marketing e il branding.
Solo dopo il primo dopoguerra, infatti, si iniziò a comprendere l’importanza dell’immagine aziendale.
Da quel momento in poi, le industrie investirono sempre più finanze per migliorare il proprio brand. Nasce il termine Graphic Designer come vero e proprio lavoro e la differenza tra marketing e arte si fa sempre più sottile.
In Italia anche D’Annunzio fu importante per questa rivoluzione. Infatti ideò i primi slogan e creò le prime promozione di prodotti, venendo retribuito. Possiamo definirlo un precursore dei moderni influencer, e a ragione.
Lo stesso fascino che hanno la Ferragni o Vacchi sul popolo italiano lo possiamo attribuire a D’Annunzio, moltiplicandolo all’inverosimile.
Come prima cosa, il Vate era un grandioso promotore di se stesso: forse ti ricorderai la storia dei cartigli da scuola. Il poeta, con l’occhio bendato e obbligato al buio, scrive su lunghe strisce di carta per non sbagliare le righe. Questa storia fu raccontata dallo stesso D’Annunzio per vendere il Notturno, e il risultato fu un tutto esaurito immediato.
Usando anglicismi “barbari” per la sensibilità dell’epoca, possiamo parlare di storytelling e personal branding molto potenti. Tutta la vita di D’Annunzio è una narrazione interessantissima anche per noi posteri; possiamo solo immaginare quanto facesse leva sui contemporanei considerando come il suo parere fosse importante.
Le aziende gli chiedevano aiuto per la creazione di slogan e di nomi di prodotto: ricordiamo i magazzini Bocconi ribattezzati La Rinascente dal poeta; il biscotto Saiwa, il liquore Aurum, la penna Aurora.
Dobbiamo a lui anche molti neologismi tra cui la parola “tramezzino” e il genere di “automobile”, giustificato in questo modo:
«L’Automobile è femminile: questa ha la grazia, la snellezza, la vivacità di una seduttrice e delle donne ha la disinvolta levità nel superare ogni scabrezza».
Possiamo dire che, soprattutto nel mondo moderno, l’arte ha bisogno del marketing per promuoversi e il marketing ha bisogno dell’arte per nobilitare la mediocrità del quotidiano e per affascinare le persone.
Quando sposiamo l’arte con il marketing, l’obiettivo quindi è quello di ricercare il perfetto equilibrio. Senza offendere la bellezza dell’arte, bisogna andare oltre alla banalità del normale, che è quello che fa il marketing. Sperimentare e sbagliare sono il miglior modo per imparare l’arte e cercare la propria strada, anche nel marketing.